Allacciamoci le cinture e scivoliamo nel magico mondo della celluloide

30/01/2016 “Nel cinema italiano degli anni 50 e 60 c’era di tutto, una moltitudine di attori magnifici, di grandi registi, un’inesauribile attenzione alla realtà che andava dalla famosa commedia all’italiana, al cinema politico, a quello intellettuale. Ce n’era per tutti, e gli italiani si schieravano”. ( Natalia Aspesi da Repubblica 8 giugno 2008..)
Allacciamoci le cinture e scivoliamo nel magico mondo della celluloide, in un passato glorioso, alla riscoperta di qualche volto del cinema capace come sempre di regalarci tanta magia. Il mondo intero invidia all’Italia la seppur breve stagione cinematografica del neorealismo, che si apre con “Roma città Aperta” (1945, regia di Roberto Rossellini) e si protrae fino al 1953-56 con film-opera entrati a far parte della storia del Grande Cinema. Questo movimento, più simile ad un risveglio morale etico politico , fotografava con fedeltà le drammatiche vicende umane che si incuneavano in un’Italia ancora in via di ricostruzione.
Sul grande schermo apparivano attori non professionisti che si esprimevano in dialetto, con volti iconici, dove gli scorci di un’Italia degradata e distrutta avevano funzione narrante, i temi della Resistenza univano gli animi, la costante ricerca di un lavoro che non c’era andava sostituendosi con piccoli espedienti, la solidarietà tra gli umili si tramutava in una dimensione umana rara, rivelante una grande poesia .
I registi coesi in una un’unitarietà sensibilità morale unica, si diversificavano rivelando le loro poetiche, anche se non sempre la scelta ricadeva su attori non professionisti: Rossellini per “Roma Città aperta” chiamò infatti come protagonisti principali Anna Magnani e Aldo Fabrizi, così come il raffinato Luchino Visconti, ad eccezione del magnifico “La terra Trema” (1948), si avvalse sempre di attori professionisti. Francesco Rosi, in qualità di assistente alla regia, ricorda che per questo film gli attori non professionisti “finirono poco a poco per identificarsi nei personaggi della sua finzione. I dialoghi li scriveva con l’aiuto degli stessi attori che gli comunicavano la maniera più vera di come avrebbero espresso nella vita quei sentimenti che egli andava loro proponendo per lo sviluppo della sua storia” (dal sito www.luchinovisconti.net La Terra Trema Articolo di Francesco Rosi ).
I vari elementi di rinnovamento erano parte di un processo cinematografico foriero di messaggi sociali imperniati su valori etici morali. La visione agra della realtà, colta con la macchina da presa, era di ispirazione quasi documentaristica, accomunando Rossellini, Visconti, De Sica, Zavattini, De Santis ed abbracciando quella carica emotiva dell’uomo in costante conflitto con le contraddizioni sociali della vita nel luogo di appartenenza. I veri protagonisti del neorealismo furono i grandi slanci e la solidarietà, plausibili in quanto parte attiva di un processo di ricostruzione del dopoguerra. Unico rimasto nella Storia
Il clima storico era permeato di una forte spinta vitale, volta a cambiare visione rispetto ad un precedente periodo di sofferenza. La stupenda contraddizione de “l’école italienne de la Libération”, così i francesi ribattezzarono il Neorealismo, è la pregnante rappresentazione della realtà vissuta dal grande pubblico nella sua carica emotiva. Non dimentichiamoci mai che siamo al cinema…
Sarebbe stato lo stesso senza il fascismo e la resistenza? Giuseppe De Santis, nel libro “Alle origini del neorealismo” a cura di Jean A.Gili e Marco Grossi, Bulzoni editore, 2008), dice: “Sono convinto che il cinema neorealistico abbia avuto soprattutto una grande madre, la Resistenza italiana. Senza la Resistenza, senza la caduta del fascismo, senza l’avvento della democrazia il cinema neorealistico, legato alle problematiche nazionali, non sarebbe mai nato”. E aggiunge: “E non è un caso che il protagonista del neorealismo sia – per la prima volta nel cinema italiano – tutto quel popolo che aveva fatto la Resistenza, dai pescatori agli operai, agli artigiani, ai piccoli e medi intellettuali, ecc. Sono loro i protagonisti del cinema neorealistico”.
“Quattro passi fra le nuvole” di Blasetti (1942), “Ossessione” di Visconti (1943), “I bambini ci guardano” di De Sica (1944.) sono opere che, secondo Lino Miccichè (Enciclopedia del Cinema, 2004, Neorealismo), “azzerarono l’immaginario del cinema italiano sotto il fascismo”. Questi film uscirono in un’Italia belligerante nutrita di un cinema che aveva come protagoniste dive quasi divine come Doris Duranti, Luisa Ferida e Clara Calamai. L’esordiente Luchino Visconti per “Ossessione” (1943) scelse Clara Calamai e, come racconta Giuseppe De Santis (“Alle origini del neorealismo”, Giuseppe De Santis a colloquio con Jean A. Gili Bulzoni Editore 2008) “la distrusse, cominciò a non truccarla, a scompigliarle i capelli, a farne una donna di campagna, una ex contadina, una barista”. Un film, questo, da vedere per la sua straordinaria attualità: la trasformazione di una star in una donna vera, dissoluta e frustrata, al contempo spinta dai suoi istinti passionali e istigatrice di un delitto con cui sarà difficile condividere l’esistenza. ”

Manifesto del Neorealismo fu “Roma città aperta” (1945) di Roberto Rossellini, protagonista è il sentimento di ribellione e la resistenza vissuti ma dalla gente comune. Fu girato in una situazione difficile (era da pochissimo finita la guerra) e con precarie condizioni economiche. “Francesco!” grida Pina (Anna Magnani ) mentre corre dietro a quel camion di soldati tedeschi che stanno per portando via il suo uomo: una mitragliatrice metterà fine alla sua vita. Un grido straziante che trasforma quella pagina di grande cinema in un documento storico. “La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta” dirà Otto Preminger ne “Dizionario Dei Film 2006, Il Mereghetti”. Il film ebbe un’accoglienza fredda in Italia, mentre riscosse grande successo all’estero, anche se divise la critica mondiale. Ottenne il Grand Prix (Palma d’oro di Cannes), la nomination al Premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale e Nastri d’Argento come miglior regia e miglior attrice protagonista (Anna Magnani).
Di li a poco uscì “Paisà”, sempre di Roberto Rossellini, momento che vede stringersi il rapporto artistico con Fellini. Per il regista riminese è un grande momento in quanto “fortifica la sua decisione di vivere nel cinema. Anche perché Rossellini ha la capacità, che trasfonde al discepolo, di affrontar la lavorazione agli esterni come una scampagnata fra amici” (Tullio Kezich nel libro “Federico. Fellini, la vita e i film, Universale Economica Feltrinelli, 2007). “Paisà” è un film-viaggio alla scoperta di un’Italia devastata. Si distingue per il carattere episodico, dove il filo conduttore è l’analisi delle drammatiche esperienza belliche e post belliche come il contatto, con gli americano giunti a liberare il nostro Paese. I protagonisti sono vittime di un periodo storico, dotati di una carica emotiva di forte impatto.
Nel 1948 esce “Ladri di biciclette” , che entrerà a far parte della storia del cinema, mera punta di diamante del Neorealismo e vede concretizzarsi e sublimarsi il connubio artistico tra Vittorio De Sica e Cesare Zavattini. Diretto e prodotto da De Sica, fu girato da attori non professionisti ispirandosi all’omonimo romanzo di Luigi Bartolini. Per De Santis “è sopratutto la scoperta di una grande città e la rivelazione di quelli che sono i vizi, i difetti e anche la dolcezza e la meraviglia di una grande città come era allora Roma” (“Alle Origini del Neorealismo”, Giuseppe De Santis a colloquio con Jean A. Gili Bulzoni Editore). Mai come in altri film sono stati analizzati così da vicino gli stati d’animo di uomini sprofondati nella povertà. Vinse il secondo premio Oscar .anche con attori trovati casualmente. Vittorio De Sica uomo estremamente sensibili quanto brillante racconta come ha conosciuto Antonio (Lamberto Maggiorani) il babbo del piccolo Bruno protagonisti del film nel libro De Sica& Zavattini Parliamo tanto di noi Paolo Nuzzi e Ottavio Iemma Editori Riuniti 1997).” A un tratto nella fila dei genitori , vidi un operario che teneva il figlioletto per la mano. Gli feci segno di avanzare , lui venne dinanzi esitante , sospingendo il bambino come un piatto esitante e sorridendo pieno di malinconia e speranza… ” No”- gli dissi- sei tu che mi interessi, non il bambino. Era Lamberto Maggiorani. Gli feci subito il provino; e come si muoveva, come si sedeva, come muoveva le mani,piene di calli, mani di operaio non di attore, tutto in lui era perfetto…
” Io gli parlai così: ” Mi presterai il tuo volto per tre mesi, e poi mi darai la parola d’onore che,terminato il film, ri prenderai il tuo posto nell’officina”.
Egli accettò. Allora mi recai a trovare il direttore dello stabilimento e gli chiesi di impegnarsi personalmente a riprendere l’operaio, dopo il congedo di tre mesi. Anche il bambino fu casualmente trovato ma già quando il film ebbe inizio. ” Vittorio De Sica racconta ancora “Disperato,decisi di cominciare egualmente il film. Iniziai con la scena di Maggiorani che va in cerca dell’amico che lo aiuti a ritrovare la bicicletta. Si girava in quella specie di Teatrino da dopo lavoro. Stavo dicendo qualcosa a Maggiorani, quando mi volto infastidito dai curiosi che mi si affollavano intorno e vedo uno strano bambino con una faccia tonda,e un nasone buffo, e stupendi occhi vivacissimi. Enzo Staiola. Questo me l’ha mandato San Gennaro”

di Paola Olivieri