Tony, Titta,Giulio, Cheyenne ,Lenny, Jeep, Silvio ,Fred e Mick sono le meravigliose creature di Paolo Sorrentino

 Tony, Titta,Giulio, Cheyenne ,Lenny, Jeep, Silvio ,Fred e Mick sono le meravigliose creature di Paolo Sorrentino

 

02/08/2018Paolo Sorrentino, geniale regista – scrittore di origine partenopea, firma il suo primo lungometraggio, “L’uomo in più”, nel 2001, selezionato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Cinema del Presente”. Nel cast appaiono, tra gli altri, Toni Servillo, Andrea Renzi e Angela Goodwin.

Tra Servillo e Sorrentino nascerà un grande sodalizio artistico, che cambierà ad entrambi il destino

“Paolo era un ragazzino che veniva sui set a portare le ‘pizze’ dei film con una sceneggiatura nascosta sottobraccio, che ad un certo punto ha tirato fuori: era ‘L’uomo in più’, il primo film che abbiamo realizzato insieme”, ha ricordato Servillo al pubblico dell’Auditorium UNICAL (“L’attore nel cinema italiano  contemporaneo. Storia, performance, immagine” a cura di Pedro Armocida e Andrea Minuz, Marsilio 2017). Parlando dei suoi esordi nel cinema, Sorrentino ricorda come dopo la morte dei genitori (avvenuta a causa del monossido di carbonio) e la sua salvezza grazie alla partita che quel giorno era andato a veder, si sia trovato in un limbo. “Ero quasi in stato confusionale. Volevo fare lettere o filosofia, ma i miei cugini mi guardavano come fossi un alieno; così mi iscrissi alla facoltà che per me voleva mio padre, economia. Non me ne sono pentito: mi piaceva. Cominciai però a scrivere sceneggiature. Mi mancavano cinque esami alla laurea, quando scelsi il cinema». (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 20 novembre 2016, Sorrentino: “Quella trasferta da ragazzo per vedere Maradona che mi ha salvato la vita”).

“La cosa peggiore che può capitare ad un uomo che trascorre troppo tempo da solo è la mancanza di immaginazione. La vita diventa, in mancanza di fantasia, uno spettacolo mortale”. Questa voce fuori campo apre “Le conseguenze dell’amore” (2004), unico film italiano selezionato dalla commissione del Festival di Cannes: nel cast c’è di nuovo Toni Servillo insieme ad Olivia Magnani, nipote della grande attrice Anna. La Francia fin da subito ama questo film, che in Italia vince 5 David di Donatello e 4 Nastri d’argento. Il giovane Paolo Sorrentino tesse una trama di fascinazione con al centro un misterioso uomo, di nome Titta di Girolamo, che vive in un anonimo hotel in Svizzera. Schivo, solitario, non fa trapelare nulla, sembra caduto nell’oblio ma non è così: un ricatto gli ha “rubato la vita” confinandolo per sempre in un labirinto da cui esce due volte al mese per andare in banca con una valigia piena di soldi che gli viene recapitata da una donna dagli occhiali scuri. Deposita le ingenti somme nel suo conto corrente ma prima fa contare il denaro agli impiegati perché dice che nella vita “bisogna avere fiducia negli uomini..”.

Nonostante sia intrappolato in loschi traffici è un uomo metodico, da 25 anni il mercoledì alle 10 del mattino si inietta una dose di eroina ed una volta all’anno va in una clinica per il lavaggio del sangue. Siamo dentro un noir?  Gli elementi che raccogliamo nei primi venti minuti del film spingono il pubblico a credere di sì, ma inquietanti risvolti psicologici ci conducono alla scoperta della sua alienata dimensione umana.

Forse stanco di indossare la maschera dell’indifferenza, come di appartenere alla “setta degli insonni”,  Titta cede al fascino di Sofia (Olivia Magnani), barista dell’albergo  in cui vive, che attraverso  il suo sguardo gli ricorda che la vita c’è ancora. Queste nuove emozioni sono vissute da Titta nel silenzio, gli occhi della donna, il suo sorriso, gli faranno desiderare nuovi orizzonti pagando come pegno le conseguenze dell’amore.

Pochi dialoghi, alcuni notevoli , con un ieratico Toni  Servillo che si esprime  attraverso  sguardi capaci di bucare lo schermo, le allusioni ,il non detto ,i passi lenti di Titta, gli improvvisi scoppi musicali di una colonna  sonora aggressiva come le  incursioni di guappi , non condurranno  il protagonista verso il futuro ma verso la morte . Nel drammatico finale l’ultimo pensiero di Titta è carico di umanità, rivolto ad un amico:è troppo tardi per uscire dagli ingranaggi del potere.  La giovane Olivia si ritrova catapultata a Cannes. Definisce questo film “particolare e strano, con una bella tensione” (Olivia Magnani, news.cinecitta.com).

Condivido pienamente il giudizio che di Sorrentino dà Fabio Ferzetti, evidenziando la sua “capacità davvero fuori del comune nel modellare personaggi, caratteri, destini” come pure “L’arte di concentrare un paese, un’epoca, una temperatura morale, in un pugno di ambienti e di personaggi..” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 14 maggio 2004)

E’ innegabile che Sorrentino  già nel 2004  sia una voce nuova, un autore capace di sorprendere il pubblico. La sua carriera impazza con il “Il Divo” nel 2008, interpretato da un cast di alto livello composto da Toni Servillo, Anna Buonaiuti,  Fanny Ardant e Piera degli Esposti .

Per la figura del Divo Giulio  Andreotti Paolo Sorrentino  non si esime dal citare fatti storico – politici. Di grande fascinazione è  la costruzione della  figura dello statista,  che fluttua in un clima surreale. E’ un uomo che vivendo sempre al vertice è solo: avvolto nell’imperscrutabilità passeggia  per le strade di Roma insieme alla sua scorta, tormentato da continue emicranie.  E’ da questa  dimensione intima e sconosciuta che Sorrentino elabora la storia di un uomo al centro di un’epoca complessa   Come è successo per la figura di Berlusconi in “Loro 1” e “Loro 2”, anche quella di Andreotti  divide i critici. Alessandra De  Luca in “Avvenire” del 24 maggio 2008 scrive: “ Al di là però del suo innegabile valore artistico ‘Il Divo’ si ritrova vittima di un paradosso: da una parte non piace al senatore Andreotti che contesta quell’immagine di sé così cinica e spietata: dall’altra fa infuriare gli anti-andreottiani più accaniti perché dal film di Sorrentino il protagonista risulterebbe in ultima analisi troppo simpatico e dotato di un’eccessiva dose di enigmatica grandezza.”

Da parte sua, Fabio Ferzetti ne “Il Messaggero” (23 maggio 2008) evidenzia: “Con ‘Il Divo’ Sorrentino non solo sferra la più violenta accusa alla classe politica italiana vista dai tempi di ‘Todo Modo’, ma cambia le regole della rappresentazione di quella stessa classe. Siamo in una specie di “quarta dimensione” dove la citazione di nomi, cognomi e soprannomi si mescola con effetto pulp alla deformazione grottesca dei volti, alle immagini d’archivio. E alle sferzanti lettere dalla prigionia di Aldo Moro. L’effetto è potente, a tratti sconcertante”.

Per Paolo Mereghetti il film non vuole essere una ricostruzione cronachistica di quegli anni. “Sorrentino, che ha scritto da solo la sceneggiatura con la consulenza giornalistica di Giuseppe D’Avanzo, non procede per fatti o denunce, ma piuttosto per immagini, suoni e associazioni visive… Non tanto perché sia il privato la chiave con cui svelare i segreti di Andreotti, quanto perché quell’ambito permette al regista maggior libertà e invenzione. In questa logica, il grottesco diventa la chiave estetica per capire il vero volto di una Politica che altrimenti rischierebbe di ridursi a un campionario di gag.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera, 23 maggio 2008).

Mentre il pubblico vive questa originale rappresentazione del potere espressa attraverso visioni di grande impatto,  tre figure femminili (la moglie Livia interpretata da Anna Bonaiuto, la segretaria Enea da Piera Degli Esposti e una nobildonna interpretata da Fanny Ardant) raccontano un lato inedito del Divo Giulio.

I protagonisti  de “L’uomo in più” Tony Pisapia, de “Le conseguenze dell’amore” Titta di Girolamo, de “Il Divo” Giulio Andreotti e de “La grande bellezza” Jepp Gambardella e Silvio Berlusconi, sono uomini logorati dalla solitudine, che vivono in una Torre d’avorio. Ma ciò che rende questi personaggi unici sono i lunghi silenzi di Servillo, che generano una sceneggiatura “altra” e parallela alla principale, di una enorme potenza espressiva che va dritto a cuore .

Di Servillo rilevanti sono  le interpretazioni  in “Gomorra” di Matteo Garrone, “La ragazza del Lago”, “ Il gioiellino” di Andrea Molaioli, “ Le confessioni “ e “Viva la libertà” di Roberto Andò. 

Nel  2011 esce  “This Must Be the Place”, girato completamente in lingua inglese. Protagonista è una star americana,  Sean Penn, che interpreta una rockstar di nome Cheyenne decisa a dare  la caccia al criminale nazista che in un lager torturava suo padre. Tra il regista e l’attore americano due volte Premio Oscar c’è stata, fin dal primo incontro, una vera sintonia.  “Ci siamo incontrati al festival di Cannes nel 2008, al momento della premiazione. Paolo riceveva il premio della giuria per ‘Il Divo”, racconta Sean Penn alla stampa durante il festival di Cannes 2011. “Gli dissi qualcosa del tipo: ogni volta che vuoi, dove vuoi, qualunque sia la sceneggiatura…. Ho preso il copione un anno dopo e non ho esitato. Nel film abbiamo parlato molto della depressione, del suo impatto fisico di Cheyenne. Paolo aveva un’idea netta e precisa di ciò che voleva. E’ stato come se suonasse il piano, mentre io giravo le pagine dello spartito. Ha una mano magica durante le riprese” (Cannes applaude Sorrentino. Sean Penn: “Ha una mano magica” www.liberoquotidiano .it del 20 mggio 2011).

Anche  per questo film Sorrentino fa incetta di premi: 6 David di Donatello e 3 Nastri d’argento.

Nel 2013 esce “La grande bellezza”, che nella corsa agli Oscar batte  “Viva la libertà” di Roberto Andò, “Miele” di Valeria Golino, “Razza bastarda” di Alessandro Gassmann, “Salvo” di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, “Viaggio sola” di Maria Sole Tognazzi e “Midway” di  Giovanni Marzagalli. Il film si aggiudica   l’Oscar come “miglior film straniero”, oltre a 9 David di Donatello, 4 Nastri d’argento e premi internazionali: un BAFTA, un Golden Globe e diversi premi EFA.

Segue “Youth – La giovinezza” (2015), con un nutrito cast internazionale di all star come  Michael Caine, Harvey Keitel e Jane Fonda nella splendida apparizione di una grande attrice sul viale del tramonto. Anche questo film profuma di Oscar,  ma solo per la  canzone “Simple Song No. 3” (testo e musiche di David Lang), interpretata dal soprano Sumi Jo.

Nel 2016 Sorrentino firma la serie TV “The Young Pope”, con Jude Law nei panni di un Papa, di nome Lenny Belardo, che vive di contraddizioni.  Presentato alla 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, si aggiudica il Premio Fondazione Mimmo Rotella.

Nel 2018 esce Loro 1 e Loro 2 ed è subito polemica

Il battage pubblicitario, guarnito di foto ove appare un Berlusconi con capelli tinti e un grande sorriso accompagna “Loro 1”  il  24 aprile 2018 e “Loro 2”  il 10 maggio. Il pubblico corre nelle sale, ma la critica lo stronca. Entrambi i film si avvalgono di un linguaggio immaginifico, capace di generare personaggi caratterizzati da una fascinazione originale, meravigliosi strumenti volti a scandagliare l’animo umano mentre i personaggi passeggiano in un universo barocco fatto di passione, ironia e solitudine.

Le visioni sorrentiniane escono dagli schemi, costringendo il pubblico ad indossare nuove lenti che svelano visioni spiazzanti in un orizzonte fuori dall’ordinarietà: è proprio in questa dimensione che Sorrentino e Servillo immaginano un Berlusconi in attesa di tornare al potere. Dice Servillo: “Nel film sopravvivo dopo aver perso il governo e aspetto la rivincita. Mi muovo da privato cittadino sullo sfondo di una Sardegna edenica. Sono quasi annoiato. Questo fa risaltare la dimensione intima del personaggio: la sua maschera da simpatico istrione. E’ tutto esteriorità, è come se non avesse un’anima” (Il cinema del potere di Antonio d’Orrico www.corriere.it Sette18 maggio 2018).  E’ dunque un’ennesima  rappresentazione del potere? Chi ama il regista sa che le chiavi d’accesso alla sua cinematografia sono le emozioni, quindi la “dimensione umana” del premier italiano era il sentiero meno battuto dal cinema, nonostante il tema del potere susciti interesse nel regista che ha firmato “Il divo”.

“L’uomo di potere è per definizione misterioso. Sono deputati a prendere le alte cariche uomini inafferrabili, i prevedibili al potere non ci arrivano”, dice il regista a “La Repubblica” (8 aprile 2017). Anche per “Loro”, come per “Il divo”, ha chiamato il suo complice cinematografico Toni Servillo ad interpretare Silvio Berlusconi.

Suggestionati da queste parole, la curiosità si accende quando nel film “Loro 1” appare la scritta “Tutto documentato, tutto arbitrario”, usata da Giorgio Manganelli per il suo libro su Pinocchio. Frase che nel film precede una lunga sequenza in cui una pecora, forse un agnello, entrando nel salone di una sontuosa villa (Villa Certosa) muore a causa dell’aria condizionata troppo fredda. Nessuna stramberia in questo clima artificiale, è uno degli allegorici puzzle di un grande affresco che, affondando le radici nella feroce satira, scaraventa il pubblico per i primi 50 minuti dentro una bolgia dantesca disturbante, ambientata nella lussuriosa Roma.

I salotti barocchi della mondanità di “La grande bellezza” sono affiancati da alcove nelle quali esili e stupide stelline, vivendo di promesse si concedono a politici pericolosi doppiogiochisti.  Per i primi 50 minuti Toni Servillo non appare. Quale è il vero tema di “Loro”? Le doti affabulatrici del regista ci fanno riflettere di fronte ad un circo che non rallegra ma disarma, ove giganteggia la figura del rampante Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) che sfuggendo la provincia buia cerca prepotentemente, insieme alla moglie Tamara (una splendida Euride Axen), di entrare nell’ombelico del potere.  Gli spettatori restano storditi dalla visione di raggiri, corruzione, fiumi di cocaina e splendide fanciulle che si concedono per arrivare in cima alla piramide. Le maschere di questi personaggi non incontrano mai il bene comune, temono solo di essere dimenticati tra la folla.

Nell’intervista “Io, lui e Loro” di Malcom Pagani su “Vanity Fair” 9 maggio 2018, Sorrentino dice il suo è un film “sulle paure degli individui e su alcuni italiani che fanno parte di un paese che, perfettamente diviso tra Sud e Nord, da un lato possiede pregi, difetti, inerzie, eroismi e cialtronaggini del Sud e dall’altro certe forme di Calvinismo del Nord. ‘Loro’, alla fine, sono gli italiani”. Nella stessa intervista il regista dichiara anche: “C’è chi teme di essere condannato alla marginalità della provincia, una paura comune a tutti quelli che hanno fatto carte false per abbandonarla e trovare un posto al sole in città. Poi c’è la paura di restare indietro, motore atavico, risalente a molto tempo prima che Berlusconi si affacciasse, per cercare scorciatoie, affarucci e piccole svolte che farebbero storcere il naso a un finlandese, ma che, in un paese in cui la parola etica è declinata al minuscolo e la tendenza all’amoralità diffusa, sono la norma”.

Viene da chiedersi: è possibile cercare la verità dietro le maschere? Prima o poi le maschere cadono e le gabbie che imprigionano gli uomini si aprono, quindi anche il Silvio Berlusconi di Sorrentino, desideroso solo di governare la storia Italiana, sorprenderà il suo pubblico. Appare un istrione che ama socializzare sempre con i suoi interlocutori, decide lui come e quando ristabilire gli equilibri, magari con un sorriso che sottintende un accordo, oppure una vana promessa. Egli è il miraggio, vive nel suo buen retiro come una star americana, osservato da Morra insieme alle sue pupille, simili a povere anime del purgatorio che aggrappandosi a questo moderno Caronte attendono con impazienza di essere traghettate  verso una terra che promette felicità.

A suo modo, Sorrentino cerca metaforicamente di aprire la maniglia della porta di Villa Certosa e, attraverso il susseguirsi di scoppi di ingegno e deliri figurativi,  ci introduce in questa Torre d’avorio dove appare  un uomo in crisi , incapace di riconquistare sua moglie Veronica (Elena Sofia Ricci) che a sua volta teme il fluire del tempo e a bruciapelo gli chiederà quale è  la sua vera  identità.

La tematica dell’identità in crisi è rappresentata nelle prime immagini di “Loro 2” dallo stravagante dialogo tra Silvio es Ennio (interpretato sempre dallo stesso Servillo), testimone della scalata economica  del premier. Un dialogo che introduce l’intenzione del regista di rivelarci la crisi. Poco dopo Berlusconi – Servillo gioca un’ultima carta dal suo studio buio pieno di elenchi telefonici italiani, chiamando una sconosciuta e presentandosi con il nome di Augusto Pallotta. La cordialità espressa con un simpatico accento stranamente napoletano, la promessa di una nuova casa sono la materializzazione di desideri e frustrazioni della donna, che sarà convinta di nuove albe dorate.

Può dunque tornare in politica? Tutto il film si gioca in questa attesa, una sfilata di paure ed il desiderio di stupire sempre. Lo farà facendo anche incendiare un finto vulcano nella sua abitazione.

Oltre all’attesa, un’altra chiave d’accesso al complesso (o semplicissimo) universo berlusconiano secondo Sorrentino è “l’amore”. “Siamo partiti da una storia d’amore, quella di Silvio e Veronica, di un uomo e una donna. È stato esattamente quanto ci siamo detti Contarello ed io nella stesura della sceneggiatura”. Partendo da queste tematiche, Sorrentino ci indica il suo sentiero, lontano da ogni schieramento ed ideologia. “Sarebbe stato stupido fare film così, perché avremmo toccato questioni ampliamente sviscerate e dibattute, dalle quali siamo fuori tempo massimo. Finora, invece, non era ancora stata puntualizzata la dimensione dei sentimenti che stanno dietro all’uomo politico e al suo contorno” (Il fattoquotidiano.it/cinema, Anna Passetti, 2 maggio 2018).

Paola Olivieri