MONICELLI: Il PADRE DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA

MONICELLI: Il PADRE DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA

 

17/06/2015Mario Monicelli firma nel 1958 “I soliti Ignoti”, film capostipite della commedia all’Italiana, genere cinematografico specchio di una società in via di evoluzione che velocemente ha dimenticato le ristrettezze del dopoguerra e che ama motorizzarsi e girovagare senza meta in una Italia “nuova “ma disseminando sempre furberie. Non c’è stato altro genere capace di ironizzare sui nuovi “mostri” che hanno stabilito gli “equilibri morali” di una società stanca.

Tutto scorre rapidamente: nelle nebbie finiscono i grandi valori, la commedia filtra i primi sinistri cambiamenti, la satira si fa più agra e, a poco a poco, scompare il lieto fine.

Nel 1957 Franco Cristaldi aveva prodotto le “Notti Bianche”, firmato da Luchino Visconti, film totalmente realizzato in studio. Era stato richiesto un grandioso allestimento che ricostruiva parte di un quartiere di Livorno chiamato Venezia. E’ lo stesso Monicelli a ricordarlo nel libro “L’Arte della commedia” di Lorenzo Codelli, riferendosi a Cristaldi: “Allora lui chiese a me, ad Age e Scarpelli – il trio che faceva filmetti a poco prezzo che incassavano bene – se ci veniva in mente qualche idea per sfruttare quella costruzione che era costata molto e nella quale, con qualche piccola trasformazione, si poteva girare un secondo film”. La scenografia fu allora smantellata ed il film fu girato più liberamente.

“I Soliti Ignoti” fu un grande successo, candidato all’Oscar, foriero di presagi artistici quali il debutto in chiave comica di Vittorio Gassman (già affermato attore shakespeariano), l’esordio della splendida ma autentica Claudia Cardinale, la trasformazione di Carlo Pisacane da napoletano in perfetto emiliano (nel personaggio di Capannelle) e l’ingresso nel cinema del sardo Tiberio Murgia, che divenne per sempre il siciliano doc.

Il film è una divertente farsa che fotografa un’umanità in via di estinzione, che vive in modo tragicomico la propria emarginazione. Ma” i nostri”, caratterizzati da Monicelli in modo ineccepibile, sono solidali tra loro circa le sventure della vita, sempre al limite della sopravvivenza..

 

I PROVINI NON FINISCONO MAI

Monicelli sapeva raccontare. Da vero affabulatore affascinava il suo pubblico e valorizzava le qualità recondite degli attori. Ma questi dovevano passare attraverso l’esame più difficile: i provini. Steve Della Casa e Francesco Ranieri Martinotti raccontano nel libro “Il mestiere del cinema” che Monicelli voleva vedere e rivedere più volte anche gli attori già scelti, “parlare con loro, per scoprire gli aspetti più intimi, per capirne le potenzialità. Per questo li fa calare il più possibile nel personaggio (….) Li stuzzica, fa loro domande private spesso imprevedibili per capire come reagiscono, ma soprattutto se sono muniti della qualità che lui predilige: l’ironia. Perché quello è il pane dei suoi film”.

Egli sapeva vedere oltre: rese Alberto Sordi incisivo e drammatico più che mai, aprì una nuova carriera brillante a Monica Vitti fino ad allora considerata musa dell’incomunicabilità, scoprì Lea Massari facendone subito la protagonista in “Proibito”, aiutato da Piero Gherardi. La caratterizzazione degli attori, la decodificazione di modelli preesistenti come i sorprendenti giochi di rimescolamento, la spensieratezza e il desiderio di lasciarsi tutto alle spalle sono tipici di Monicelli e Gherardi. Per il film “I soliti ignori” trasformarono il volto a Gassmann, rendendolo uno strepitoso “impacciato ladruncolo”.

 

C’ERA UNA VOLTA… UNA SOCIETA’ CARICA DI UMANITA’

Questa banda di sgangherati è composta da: Dante Cruciani (Totò), scassinatore ormai in pensione e mente del gruppo; Peppe (Gassman), un po’ balbuziente, che si innamorerà di Nicoletta; il fotografo Tiberio (Marcello Mastroianni) che deve guardare il bambino mentre sua moglie è in carcere; Mario (Renato Salvatori), il sempre povero ma bello che vive alle spalle delle zie; Ferribotte (Tiberio Murgia), geloso della sorella Carmela (Claudia Cardinale); Nicoletta (Carla Gravina), la puntuta ragazzina che si fa sedurre da Peppe ed infine il simpatico Capannelle. Tutti insieme si preparano per il grande colpo, sfondare la cassaforte del Monte dei Pegni. Ma, per un cambio di mobili, sbagliano muro e si ritrovano in una cucina, consolandosi con pasta e ceci.

Il film scorre spedito, Monicelli con sguardo profondo e una certa poesia descrive la realtà cruda dei quartieri della periferia romana a metà anni Cinquanta. Attraverso uno splendido bianco e nero appaiono palazzi cadenti e grossi casermoni. La scenografie sono curate da Gherardi, che imbocca la via dell’ambientazione realistica. Attraverso i ritratti psicologici appare un’umanità palpitante, il sottoproletariato che vivacchia di piccoli furti, qualche volta gira in bicicletta, il lavoro ve ne è poco e non rimane altro che il sogno…

Siamo caduti in un film di Pasolini? No, in un altro capolavoro dove ogni personaggio ha una radice drammatica e, inseguendo un sogno, cerca una riabilitazione. Per essere una commedia, i nostri ladri non sono poi così male.

Dice Peppe nel film: “Bisogna agire in modo scientifico. Siete pronti? Mettete a posto gli orologi”. Ma, in fondo, nessuna avidità cova in loro: Tiberio desidera realizzare con il bottino “Na casetta di 4 vani, un libretto al ragazzino … così si ricorda che ha fatto papà”. Mario vorrebbe un futuro onesto, mentre la vena tragica del film è Memmo Carotenuto, che finisce sotto le rotaie per uno scippo.

 

DA SOLITI IGNOTI A STAR

Il film ebbe successo negli USA e fu fonte di ispirazione per altri, anche se nessuno riuscì a sfiorare i registri comici e arguti di Monicelli, che continuò a cavalcare questo genere. Da parte sua, Gassmann riaffermò la propria vena comica nei film che seguirono, ma sarà nel “Sorpasso” di Dino Risi che trionferà con la sua irruenta fisicità ed il suo vero volto, diventando l’italiano irresponsabile ma demoniaco.

Per Claudia Cardinale si spalancarono le porte del grande cinema, grazie anche ad un volto autentico e a quella fisicità che si prestava a tutte le epoche. In 8 e mezzo Fellini la tramuterà in ideale salvificante, la “ragazza della fonte”: «bellissima, giovane e antica, bambina e già donna, autentica, misteriosa» fa amare al pubblico la voce rauca e profonda. Gherardi le trucca delicatamente gli occhi ardenti e la avvolge in un delicato abito bianco della star.. Quanto a Marcello Mastroianni, già nel 1957 aveva avuto un decisivo incontro con il grande costumista Piero Tosi che per le “Notti Bianche” gli aveva, attraverso il trucco, regalato un volto nuovo. L’immagine di un Marcello con capelli schiariti, guance scavate, aria sofferente era già vincente per interpretare quel dubbioso regista di “Otto e mezzo”.

 

è inserito un breve dialogo Otto e Mezzo e due da ” I soliti ignoti”

Paola Olivieri