LA GRANDE BELLEZZA REGIA PAOLO SORRENTINO

06/11/2017La Grande bellezza è un film difficile? È un travolgente, immaginario viaggio dai toni surreali e sepolcrali, che esercita un potere misterico e suggestivo sul lato emotivo dello spettatore; per questo va guardato con occhi sensibili. Le sequenze di questo affresco sono frammentarie, disorganiche ma da esso traspare l’originalità del regista che filtra le emozioni del nostro protagonista. Il film è ambientato a Roma, città eterna, sublime, ma al contempo fatale per il cuore di un turista giapponese che è sopraffatto dalla vista del Gianicolo. Ma la magnificenza di Roma ha due facce e Sorrentino ci spalanca le porte di una città sconosciuta al grande pubblico che vive negli aristocratici palazzi oppure ai bordi delle piscine in attici di lusso. Queste sequenze sono popolate da personaggi eccentrici, al limite del grottesco, che si contrappongono ad immagini che omaggiano la ieratica Roma. Il film, insieme ai suoi personaggi, è collocato in un realtà slegata da quella oggettiva, unitamente al carattere disorganico appare complesso, privo di una apparente logica e quindi di non facile ricostruzione. Il regista si concentra sul disincantato Jeep Gambardella che in gioventù aveva scritto il libro intitolato: “L’apparato umano” “bello e feroce come il mondo degli uomini” e, sempre in gioventù, si era trasferito a Roma, affermandosi come istrionico giornalista. “Perché non ha mai più scritto un libro?” – gli chiede una suora che si nutre solo di radici – “Cercavo la grande bellezza, ma non l’ho trovata”. Era destinato ad essere Jeep Gambardella, l’amato-odiato re della mondanità romana. I suoi sogni sembrano sfumati, nutre sentimenti contraddittori nell’oasi della mondanità, diviso tra l’amore per la letteratura e l’attuale condizione di arguto giornalista che frequenta uomini e donne che vivono in funzione dell’estetismo. Egli è il divo di un girone dantesco composto da stupide stelline, scrittrici di partito, drammaturghi che non hanno mai esordito, cocainomani sull’orlo della disperazione e che trascorrono le serate con lui. Ma questa umanità sbandata teme una sola cosa: essere dimenticata, rimanere in compagnia di quella moltitudine di uomini che non vive nel cuore della mondanità. Essi iniziano a vivere al tramonto per poi svanire improvvisamente alle prime ore del mattino. Ma Jeep ha 65 anni, l’età nella quale “non hai più tempo per ciò che non ti va di fare”, vive un ingorgo esistenziale, tra illusione e delusione, ripercorre il suo passato, ricerca se stesso sul filo dei ricordi che si affacciano in un presente di crisi. La sua vita scorre tra un party ed un altro, assiste indifferente a manifestazioni di artisti che vogliono essere avanguardia ma accoglie ancora stupefatto “gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza”. Questi sono gli unici momenti di vera vita che si concretizzano in quei sinceri dialoghi con la direttrice del giornale oppure attraverso l’insolito amore per Ramona, l’amica spogliarellista, il ricordo del suo primo amore indimenticato e inconcluso. Nel suo peregrinare Jeep accoglie la bellezza quando la incontra e, con simpatica inflessione napoletana, Jeepè rimane indifferente alla medi

ocrità ma esprime riflessioni che contengono profonde significazioni. Poi la vita “finisce sempre così con la morte”; prima c’è stata la vita sotto il bla, bla, bla, ma Jeep non si occupa “dell’altrove” e riprende con una nuova consapevolezza a scrivere alla fine del film.