Le grandi emozioni di Arnaud Desplechin con I Fantasmi d’Ismael

Le grandi emozioni di Arnaud Desplechin con  I Fantasmi d’Ismael

“I Fantasmi d’ismael”, firmato da Arnaud Desplechin, ha inaugurato la 70 esima edizione del Festival di  Cannes 2017 con un cast stellare composto da Charlotte Gainsbourg, Marion Cotillard e Mathieu Almaric.

Un film vibrante per il turbinìo di emozioni, ricco di riferimenti cinefili, enigmatico nei risvolti quanto potente per i grandi sentimenti, che diventano i protagonisti di tutta la narrazione.  Desplechin ama correre tra passato e presente, gioca tra realtà e finzione, tesse diversi piani di lettura e labirintiche riflessioni in cui è facile perdersi per poi ritrovarsi in quelle tematiche a lui care.

“Attraverso peripezie e finzioni – spiega il regista a Chiara Borroni che lo ha intervistato per Cineforum – cerco di catturare le scintille della vita, è questo che mi piace ed è anche il motivo per cui farei fatica a fare un film di un solo genere. Mi piace molto mescolare, confrontare, opporre i generi, saltare dall’uno all’altro tenendo lo spettatore per mano affinché non si perda e accetti di passare da un registro all’altro”.

Ancora una volta un omaggio al cinema, perché “I fantasmi di Ismaele” è un film dentro un film che non si farà, ripercorre le strade dell’amore, dove passione folle e dolore si intrecciano alla ricerca dell’identità che in questo caso è incerta.

Le prime immagini sono fuorvianti per lo spettatore. Siamo al Quai d’Orsay, un gruppo di diplomatici confabula su chi sia Ivan Dedalus. Una spia? Ivan è il protagonista del film che sta per girare Ismaele, una proiezione bondiana del vissuto di suo fratello Ivan, diplomatico che non vede da troppi anni. Un gioco di immaginazione reso possibile dalla grandezza del cinema. Quindi è Ivan il primo fantasma di Ismaele? Sì, ma non il solo. Se i fantasmi sono come le ossessioni, capaci di apparire improvvisamente nella nostra mente, un ritorno inaspettato scompaginerà la fragile realtà del regista.

Forse è per questo che Ismael scrive di notte, evitando così gli incubi.  La sua vita è stata traumatizzata dalla scomparsa della moglie Carlotta, inghiottita nel nulla venti anni prima. Divide il suo dolore con il suocero, il grande regista Henry Bloon di origine ebraica. E’ lui che gli ha insegnato tutto sul cinema ed è anche per questo che Ismaele se ne prende cura.

E’ in questo presente squinternato che Ismaele incontrerà Silvya, un’astrofisica che diventerà l’ago della bilancia nella sua vita. “Voglio farti cadere la maschera, voglio rivelare il principe che è in te”, gli sussurra una sera prima di fare l’amore. Mentre Ismaele e Silvya sono nella casa del mare, ricompare la misteriosa Carlotta in carne ed ossa proveniente dall’India, dove si è sposata ed è rimasta vedova. E’ crisi per Ismaele e Silvya, l’inquietante presenza della rediviva moglie diventa un incubo che li farà scivolare in uno stato confusionale.

Perché Carlotta è tornata? Anche questo è un enigma che intriga lo spettatore. La donna è sola al mondo, vuole riappropriarsi del suo ruolo di moglie e figlia.  Ma ormai è troppo tardi. “C’era un altro?”, le urlerà Ismael sentendosi rispondere con candore irritante che è fuggita perché schiacciata dal suo narcisismo e da un padre colto e quasi ingombrante, lei che non amava leggere.

“Per vent’anni lei ha vissuto nel presente, e loro nel passato” (Federico Gironi, ‘Il Messaggero’, 18 maggio 2017). I due uomini hanno pianto troppo. Ma le dinamiche del tempo cambiano anche gli amori vissuti intensamente. Carlotta appartiene ad un passato da ricordare senza rimpianto. L’incontenibile dolore e solitudine causati dall’inspiegabile fuga hanno raggelato il loro lato emozionale. Ormai la presenza della donna è vissuta come fantasma.

Ismael fugge dal set per rifugiarsi nella sua città natale, vampirizzato dal passato che ritorna, mentre la liason  con Silvya sembra affievolirsi.  Ma l’avventura cinematografica si incrocerà con la realtà, fino ad assumere risvolti inaspettati quasi di fuoco….

Interessante l’interpretazione che ognuno dei tre grandi attori ha dato del proprio personaggio: l’esplosività e candore della Cotillard si frangono contro la delicatezza della Gainsbourg, mentre Almaric rende il febbrile regista insolitamente dolce e fragile.

Paola Olivieri