Quando le Star diventano divine…

 

17 09 2020 Fin dagli anni Venti, le case di produzioni dell’industria cinematografica americana, crearono una fitta rete di strategie competitive, atte a trasformare l’attore di punta in un divo, assumendone totalmente il controllo dell’immagine e della vita pubblica. Attualmente il fenomeno del divismo con le sue creature inafferrabili  è mutato e  infragilito, in quanto le star vengono anche fotografate senza trucco, oppure mentre sono in procinto di fare jogging. Hanno dimensioni inquietanti gli odierni processi imitativi dei fan che, per assumere i tratti della propria icona, ricorrono alla chirurgia estetica.  E’ complesso descrivere l’evoluzione del divismo , ogni epoca elegge il suo mito: sono suggestive le biografie e gli aneddoti delle star mentre scalano il successo. Nella storia del cinema, Marlen Dietrich e Greta Garbo sono state le divine,  forse la loro rivalità fu un’invenzione delle rispettive compagnie di produzione, sempre in corsa per fare centro al box office.

La svedese Greta Garbo è il simbolo della bellezza aristocratica quanto sfuggente, con una fisicità longilinea e rivoluzionatrice ed il volto dai lineamenti perfetti, sprigionava una sensualità moderna e  conturbante. Diventa la star indiscussa del muto ed in seguito del sonoro, a soli 36 anni lascia il cinema ed i contratti milionari. La Garbo scompare dalla vita pubblica riappropriandosi della sua identità, dopo questa scelta non concederà più nessuna intervista. Diversamente da Greta Garbo, Marlen Dietrich quando sbarca negli Usa è già  in Europa una attrice di successo : ha interpretato la ballerina Lola nel film sonoro “L’angelo azzurro” (1930), imponendosi con la sua voce ed una fisicità procace, sprigionante un nuovo erotismo. La Dietrich firma un contratto con la Paramount, conquista Hollywood con un fascino che sconfina nell’ambiguità, intrappolando così uomini e donne: mentre i suoi riccioli biondo-miele cadono in abiti maschili da lei indossati con classe. L’attrice è una donna volitiva ed indipendente, riesce ad inserire nel contratto con la Paramount una fondamentale clausola per la sua carriera: la possibilità di poter scegliere il regista dei suoi film. La Dietrich si assicura così la collaborazione con il regista von Sternberg, che plasmerà la sua carriera.

L’attrice durante la Seconda Guerra Mondiale, da cittadina tedesca naturalizzata statunitense raggiunge i vari fronti indossando la divisa militare. Interpreta con voce profonda e struggente “Lili Marlen“, la canzone di tutti i soldati stretti nella tragedia della guerra, mentre pensano alla loro donna lontana. Ogni soldato  ha la sua Lili Marlen. Anche l’attrice italiana Alida Valli definita la fidanzata d’Italia, debutta in America con Hitchcock ne “Il caso Paradine” (1947) insieme a Gregory Peck e l’anno seguente “Miracolo delle campane” (1948) di Irving Pichel con Frank Sinatra. Quando tornerà in Europa diventa l’interprete  preferita e musa  dei grandi maestri.

In Italia ed all’estero la produzione cinematografica del dopoguerra risente dei nuovi assetti politici, sono fotografati dai registi gli squarci di una società dilaniata e provata dal conflitto, abitata da uomini e donne che cercano invano nuovi modelli di riferimento. L’inserimento di queste nuove tematiche, specchio di una nuova realtà, cambiano le regole ad Hollywood portando un nuovo tipo di divismo. Tra gli anni ‘40 e ‘50, si afferma il geniale drammaturgo Tennessee Williams, le sue piece spesso traslate nel grande schermo sono dominate da dinamiche di amore-odio che, inasprendosi, dilaniano nuclei familiari stretti in atmosfere soffocanti. Il geniale Elia Kazan rappresenta cinematograficamente alcuni dei suoi i drammi, disegna figure di giovani insofferenti che consumano la loro esistenza in un presente senza speranza. Marlon Brando e James Dean si ergeranno da questo universo di perduti entrando per sempre  nell’immaginario collettivo.

Se Brando incarna ne “Un tram che si chiama desiderio” (1951) di Kazan, l’uomo selvatico quasi violento che si scontra con una fragile donna interpretata da Vivien Leigh, il giovanissimo James Dean ne “La Valle dell’Eden” (1955), è l’uomo che cerca modelli di riferimento. A 65 anni dalla sua morte, James Dean rappresenta il giovane ribelle con il volto corrucciato che rifiuta un mondo ipocrita: i suoi occhi blu mare cercano nell’orizzonte, qualcosa per cui vivere. Morirà, sempre nel 1955, a soli 24 anni schiantandosi a bordo della sua Porsche: la sua precoce scomparsa ebbe sul pubblico un effetto devastante che lo consacrò a mito. Nel magnifico thriller “Caccia al ladro” (1955) di Alfred Hitchcock, la scena chiave del film ha, per la protagonista Grace Kelly, una funesta premonizione: l’attrice è nel suo massimo splendore, al volante di un auto con al fianco un Cary Grant spaventato per il contachilometri che si alza mentre la donna  sfreccia sulle strette e angolose strade panoramiche della Costa Azzurra .Purtroppo il 14 settembre del 1982 sempre su quella strada Grace Kelly ha un incidente fatale  con la figlia Stephanie di Monaco, la sua terzogenita. Il suo mito resiste ancora, la sua carriera di attrice è stata brevissima, colma di riconoscimenti, riuscendo a vincere l’Oscar come Miglior Attrice per il film “La ragazza di campagna” (1955). Romantica e conturbante al tempo stesso, sposò il Principe Ranieri nell’aprile del 1956 e la sua cerimonia nuziale è considerata come tra le più suggestive del Novecento.

Anche in Italia il divismo cambia, perché si afferma la corrente cinematografica del Neorealismo, rappresentato dal volto dell’intensa  Anna Magnani. I suoi ruoli sono quelli di una donna che lotta per la sopravvivenza, decisa a non barattare se stessa con qualsiasi forma di compromesso. Tennesse Williams è affascinato dal talento e dal carisma della Magnani: scrive per lei “La rosa Tatuata” che interpreterà solo nel grande schermo, diretta da Daniel Mann. Per questo film, l’attrice si aggiudicherà nel 1956 l’Oscar quale migliore attrice. Per la terza volta Magnani torna in America e gira “Pelle di serpente” (1960) di Sidney Lumet, facendo coppia con il mitico Marlon Brando. I drammi di Tennessee Williams trasportati nel grande schermo sono stati sempre dei successi interpretati da cast stellari. Tra questi ricordiamo: “Lo zoo di vetro”, “Un tram che si chiama desiderio”, “La rosa tatuata”, “Baby doll”, “La gatta sul tetto che scotta”, “Improvvisamente l’estate scorsa”, “Estate e fumo”, “La primavera romana della Signora Stone”. Il film “La gatta sul tetto che scotta”, firmato da Richard Brooks, segna dal punto di vista attoriale l’incontro di una coppia cinematograficamente incandescente. Lei è Elisabeth Taylor, la diva dagli occhi viola, ex bambina prodigio che veste i panni di Maggie, l’infelice moglie di Brick, interpretato da Paul Newman il quale, intriso di menzogna, annega nell’alcol il dolore per il suicidio dell’amico Skipper. Indimenticabile è la sequenza nella quale la Taylor, distesa nel letto e avvolta da una sottoveste bianca orlata di pizzo, cerca di sedurre il marito. Sempre la Taylor, nel film “Improvvisamente l’estate scorsa” di Joseph L. Mankiewicz, diventa oggetto di desiderio, anzi esca sessuale, usata dal cugino Sebastian per attirare i ragazzi della spiaggia che versando in condizioni economiche precarie accettavano di avere rapporti sessuali a pagamento con lui. La Taylor è sublime in questa interpretazione, strabocca di tensione erotica mentre indossa quel seducente costume bianco di seta che diventa trasparente con l’acqua. Sono anni di grande cinema come di matrimoni inaspettati. Nel 1956 Marilyn Monroe è al culmine del suo successo, sposa il drammaturgo Arthur Miller autore di “Morte di un commesso viaggiatore”, caposaldo del teatro americano contemporaneo per il quale riceve il prestigioso premio Pulitzer. Marilyn è la bionda esplosiva, buca lo schermo con la sua camminata ancheggiante, sprigionante una sensualità innocente ma al tempo stesso  è assediata come James Dean da mille fantasmi ed inquietudini. La sua bellezza diventa fonte di ispirazione, è il sogno proibito di milioni di americani e l’agognato successo ed il clamore del pubblico, sono quel sole che non scalda, anzi, la ingabbia. E’ entrata nella storia del cinema la famosa sequenza del film: “Quando la moglie è in vacanza” (1955) di Billy Wilder nella quale Marilyn sosta volontariamente su una grata mentre  sotto passa la metropolitana ed una folata di vento gli alza la gonna. Il malizioso gesto di Marilyn di tenere giù l’abito, è il fotogramma che precede l’indimenticabile bacio tra lei ed il vicino di casa. Quando l’attrice muore in una notte di agosto a soli 38 anni, il mondo rimane senza fiato. Ma c’è chi riesce ad diventare un mito vivente: la francese Brigitte Bardot, a soli 39 anni lascia il cinema per dedicarsi agli animali. Brigitte Bardot viene lanciata dal marito, il regista Roger Vadin, a soli 22 anni ne “Et Dieu… créa la femme” (1956), imponendosi come la ragazza disinibita di dirompente femminilità, che sdogana i comportamenti e canoni della bellezza degli anni ‘50. In “Et Dieu…crèa la femme”, di grande impatto è la sequenza dell’attrice mentre balla a piedi nudi sul tavolo, inseguita da sguardi colmi di desiderio. Ma B.B ha un sex appeal tutto francese, è la ribelle piena di charme, paladina di un nuovo modo di vivere la sessualità. Guarda l’obbiettivo con occhi magnetici e truccatissimi, mentre i capelli spettinati e biondi cadono sulle succinte magliette a righe e labbra perennemente imbronciate accennano un fuggevole e malizioso sorriso. Per Brigitte, il compositore Serge Gainsbourg scrive «Je t’aime moi non plus», una canzone piena di tensione erotica, scandalosa per l’epoca, ritmata da sospiri e parole d’amore. La canzone verrà interpretata anni dopo da Jane Birkin.

Quest’ultima è una attrice modella inglese dalle gambe chilometriche, fisico magrissimo quasi androgino, sprigionante sensualità espressa anche dai bellissimi occhi, mentre i lunghi capelli gli scivolavano nelle spalle. Tra Serge e Jane scoppia un travolgente amore e dalla loro unione nasce Charlotte, oggi attrice di successo. Nel 1969 entra nel cast del film cult “La piscina” di Jacques Deray, insieme a Romy Schneider e Alain Delon. Sempre in quell’anno muore Judy Garland in un albergo londinese per una dose accidentale di barbiturici. Il pubblico ha iniziato ad amare Judy con il personaggio di Dorothy ne “Il mago di Oz” (1933): nessuno sapeva che dietro quel sorriso c’era un presente regolato dalle dure leggi del star system. Judy era un talento straordinario con grande presenza scenica , ebbe una carriera sfolgorante negli anni ’50, con ruoli cinematografici e tour musicali che registravano sold out.. E’ la splendida protagonista di “E’ nata una stella“ (1954), di George Cukor, interpretando Esther; è una giovane donna che sbarca ad Hollywood per diventare un’attrice: l’incontro tra lei e Norman, attore di successo e pigmalione, cambia il suo destino. Il film ebbe un grande successo, ma l’Oscar di miglior attrice venne assegnato a Grace Kelly, per “La ragazza di campagna. Contemporaneamente in Italia vengono girati film-capolavori come: “La Dolce Vita” (1960) di Federico Fellini, “Il Gattopardo“ (1963) di Luchino Visconti e “L’avventura” (1960) di Michelangelo Antonioni, con attrici di rara bellezza diventate iconiche: Sophia Loren si aggiudica l’Oscar con il film “ La ciociara” (1960): la sua carriera, colma di meritati riconoscimenti, corre tra l’Italia e l’America. La bionda Virna Lisi, attrice dalla bellezza raffinata, vola ad Hollywood e gira ‘Come uccidere vostra moglie’ (1964) con Jack Lemmon, ed in seguito “Due assi nella Manica” (1966) con Tony Curtis e “U 112 – assalto al Queen Mary” (1966) con Frank Sinatra: l’attrice preferisce rompere il contratto con lo star System. Claudia Cardinale, attrice di indiscusso fascino e talento, sbarca ad Hollywood ed entra nel cast del film “La pantera rosa” (1963), di Blake Edwards con David Niven: l’attrice girerà film con star del calibro di John Wayne, Anthony Quinn e Tony Curtis etc…Silvana Mangano attrice ed icona, moglie del leggendario produttore Dino De Laurentiis, vive una affascinante evoluzione artistica che merita di essere ricordata. La Mangano conosce il successo planetario non ancora ventenne con “Riso Amaro” (1949) di Giuseppe De Santis, è ambientato nelle risaie del vercellese dove  le mondine che venivano ingaggiate per la raccolta del riso. In un territorio cinematografico tra Neorealismo e melodramma, si erge Silvana, protagonista di un dramma che sottolinea la difficile condizione lavorativa femminile di quel momento. Il pubblico impazzisce per quella procace ragazza dal fisico statuario, che indossa pantaloncini corti e calzamaglie di lana smagliate, mentre una maglietta nera segna il punto di vita. Il film ricevette una candidatura ai Premi Oscar nel 1951 come Miglior soggetto. La Mangano decide di scegliere con lungimiranza i suoi ruoli cinematografici, diventa una interprete raffinata fino ad elevarsi ad icona enigmatica, quasi una sfinge con occhi  sprigionante una rara luce. L’Italia è la nazione di registi inimitabili. Fellini con il film spartiacque “La dolce vita “, genera un linguaggio cinematografico nel quale le illusioni, i sogni e le inquietudini fotografano, a piene mani, un paese in pieno boom ed una società che sta gettando tra le nebbie i valori fondanti. Negli anni ‘60 sono stati girati molti Kolossal: tra questi ricordiamo lo spettacolare “Cleopatra” (1963), diretto da Mankiewicz con un cast incandescente composto anche da Elisabeth Taylor e Richard Burton. Tra i due scoppia un grande amore, segnato anche dalla proverbiale passione della diva per i gioielli e dalla sua cagionevole salute che rende  il loro legame  ancora più mediatico. Le star passeggiavano per via Veneto, protagoniste  di feste faraoniche tra Roma, Venezia, New York e Parigi.

Già alla fine degli anni ’60, i giovani si nutrono di ribellione e nuovi fermenti culturali acquisendo una nuova identità : il divismo cambia ancora il suo volto.

Paola Olivieri

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