L’UOMO CHE VIDE L’INFINITO REGIA MATT BROWN

L’uomo che vide l’infinito

09/11/2017Dopo John Nash, Alan Turing, Stephen Hawking, ecco che il grande schermo si occupa di un altro geniale matematico da amare follemente, di nome Srinivasa Ramanujan. Il regista Matt Brown in “L’uomo che vide l’infinito” si ispira all’omonima biografia di Robert Kanigel (Rizzoli), aprendo una finestra sull’austera Cambridge nel primo decennio del Novecento. In questo iconico tempio abitato da studenti che si nutrono di pane e competizione entra a far parte l’indiano Ramanujan dotato di una mente fremente fuori d’insigne professore Hardy di Cambridge, il quale ne coglie la grandezza e lo invita subito al Trinity College . Le menti brillanti devono rifulgere nel giusto tempio ma il giovane, essendo indiano, subirà discriminazioni dai colleghi. E’ guardato con gli occhi dell’insana curiosità come quelli dell’invidia, sarà ostacolato con l’infida arma dell’indifferenza e del pregiudizio classista, ma niente fermerà il suo successo
Matt Browne introduce il suo pubblico in dense atmosfere prodighe di antiche tradizioni, gli ambienti privati dei protagonisti sono disseminati di elementi narranti che aiutano a decifrare i personaggi. Gli impareggiabili giochi di luci sono complici delle angolazioni registiche che corrono su piani paralleli . “E’ stato l’unico incidente romantico della mia vita” dice Hardy pensando al giovane indiano. E prosegue: “In un certo senso è stato una mia scoperta” non l’ho inventato io come altri grandi uomini, si è inventato da sé. Il difficile per me, poi, non era non sapere abbastanza di lui, ma il fatto di sapere e percepire fin troppo” .
Del film lasciamo nel polverone la seppur bellissima dimensione biografica, che suscita vero interesse – come l’attuale tema del dialogo e integrazione tra culture diverse – e facciamo prendere corpo al tumultuoso e catalizzante rapporto tra due menti eccelse. L’insigne professore Hardy subirà una felice metamorfosi, si dilaterà e percepirà la grandezza di questo giovane uomo . Ramanujan accetterà il rigore delle dimostrazioni matematiche.La fondatezza delle sue teorie darà il giusto significato al proprio lavoro. Il regista delinea perfettamente la figura del matematico inglese, inizialmente arroccato in una quotidianità priva di calore ma sempre dominata dalla bellezza della matematica. Il talento attoriale di Irons dispensa una vasta gamma di sfumature sulla figura di un uomo in via di evoluzione, che finalmente vibra guardando il futuro sotto una nuova luce. Nonostante tutto Hardy si scontrerà con la cultura del matematico proveniente dalla lussureggiante India, Ramnujan, che incarna la purezza illuminante quasi fanciullesca e la sua devozione religiosa per la matematica. La sua visionarietà genera infinite formule, ma l’apice creativa del giovane indiano è sublimata dalla sue convinzione mistiche. Il fascino di questo personaggio risiede nella sua armonizzazione tra fede e scienza E ben lo ha capito Hardy quando dice: “Siamo semplici esploratori dell’infinito, alla ricerca della perfezione assoluta”.
Quell’umanissimo desiderio di Ramanujan di lasciare un’ impronta nella storia sembra presagire un beffardo futuro: morirà di tisi a 33 anni. Come per Nash, per Turing etcc… la visionarietà di Ramanujam è attraversata da drammi personali che non scalfiscono quella forza fatta di formule e teorie capaci di sospingere l’uomo verso nuove frontiere. La personalità intrisa di nostalgia e tradizione del suo paese racchiude la forza di incantare non solo il suo mentore ma anche il pubblico. L’attore Dev Patel regala una sincera interpretazione che arriva dritta al cuore, correndo insieme al suo personaggio in sentieri paralleli a quelli di Hardy, ma credendo nell’infinito che ha fatto brillare di nuova luce tutta la sua vita

Paola Olivieri