Gli INDIFFERENTI DI LEONARDO GUERRA SERAGNOLI

 

Ero contemporaneo di Joyce e Proust, i quali avevano già detto tutto ciò che era possibile dire sulla realtà; avevano ampliato il concetto di realtà al di là di ogni tradizione. Inventari immensi, colossali: non vi era più nulla da dire sulla realtà…Bisognava reagire. La mia reazione fu di scrivere un romanzo che fosse contemporaneamente dramma e romanzo”, dice Moravia a proposito del suo primo capolavoro “Gli Indifferenti”, pubblicato nel 1929 a poco più di venti anni (Alberto Moravia “La giovane letteratura “indifferente” in “Il pericolo che ci raduna”, Milano, Franco Angeli Srl 1986).

Il romanzo è una feroce critica alla borghesia decadente, scritta da lui che era un giovane borghese: con occhi vividi pieni di livore, fotografò una società che gettava nel polverone i valori fondanti ed era completamente avulsa ai veloci cambiamenti politici. Quell’intreccio letterario di quasi cento anni fa narrante uno sfacelo familiare, precipita nella nuova versione filmica de “Gli indifferenti”, diretta da Leonardo Guerra Seragnoli: egli trasferisce la vacuità interiore dei protagonisti in una contemporaneità incerta e ancora più desertica. Tutto ruota intorno alla cupidigia legata a doppio filo all’egoismo, che cannibalizza uomini e donne incapaci di leggere i nuovi tempi: la meschinità ed i sentimenti torbidi degli indifferenti di ieri, pronti a barattare quasi tutto per il denaro, distruggono ancora il destino di quelli odierni, ridisegnati dal regista attraverso nuove istanze sociali. “abbiamo fatto una riflessione interna sul tema della precarietà suonasse oggi, chiederci chi fossero gli indifferenti oggi e come si fossero evoluti”, dice il regista, mentre Alessandro Valenti, lo sceneggiatore aggiunge “come reagisce oggi un tessuto sociale che non ha gli strumenti sociali per accettare questa crisi che entra violenta nelle loro vite, nelle vite di quei ceti che fino a poco tempo fa si pensavano immuni? Che tipo di reazione hanno? Ci è sembrata una linea interessante, su come è difficile ricostruire un immaginario della crisi, ed è interessante guardare a ceti che non conoscevano una difficoltà che oggi vivono. Mi pare di una modernità clamorosa”. (Gli Indifferenti di Moravia, rivivono oggi con Valeria Bruni Tedeschi: “Io per prima indifferente” di Arianna Finos, 20 Novembre 2020, Repubblica.it Spettacoli).

 

Al centro di questa inquietante storia c’è il lussuoso attico ai Parioli, arredato con gusto ed appartenente alla vedova Maria Grazia Ardenghi ( Valeria Bruni Tedeschi): è oggetto di furenti diatribe tra Michele ( Vincenzo Crea) (il figlio della donna) ed il suo amante Leo ( Edoardo Pesce), un losco faccendiere che tiene in pugno questa famiglia con i continui prestiti.

“Se poi divento povera nessuno mi ami più”….”vorrei che amasse solo me”, riferendosi a Leo, dice la superficiale e nevrotica Maria Grazia: ormai estranea alla realtà e troppo intrigata dall’arrogante amante per accorgersi delle continue attenzioni dell’uomo verso la figlia Carla ( Beatrice Grannò). Costantemente indaffarata a salvare le apparenze, rifiuta di ascoltare le sofferenze di Michele, ormai consapevole che dietro alla generosità del compagno si nasconde il malcelato fine di appropriarsi dell’attico. Frequenta casa Ardenghi Lisa ( Giovanna Mezzogiorno), ex amante di Leo, simile all’amica Maria Grazia in quanto vive una elazione fittizia e ridicola con il giovane Michele: sono loro le vere indifferenti, legate agli stupidi rituali borghesi, disinteressate ad ascoltare i timori altrui e che continuano a vivere facendo finta di niente, senza mai guardarsi indietro. L’arrogante Leo riuscirà a sedurre Carla (figlia di Maria Grazia), la quale si concederà con una freddezza agghiacciante perdendo negli occhi quei lampi di vita che la contraddistinguevano dagli altri personaggi. Il pavimento che scricchiola e le piccole scosse di terremoto sono avvertite dai personaggi senza timore, ma sono i segnali di un finale inaspettato.

Sarà dentro quell’atmosfera sospesa e stagnante, unica compagna di questi tetri manichini, che il regista rivitalizza più che la figura dello sveviano Michele, quella dell’avvenente Carla allo sbocciare della vita adulta. Mentre Michele scatta con furenti invettive, sarà Carla a togliere la maschera dell’ipocrisia, ribellandosi attraverso azioni non più calcolate: oserà con paura, saltando verso la maturità, unico salvagente per riappropriarsi di un futuro con degli orizzonti.

Se il romanzo finisce con la partecipazione della famiglia Ardenghi ad una festa in maschera, nel film  durante un magistrale lungo piano sequenza ,le parole della piangente Carla verranno ignorate con garbo dalla madre, preoccupata solo dall’assenza di Leo. Che ne sarà degli Ardenghi? Magistrale è Valeria Bruni Tedeschi che mette in scena una donna vittima delle sue nevrosi ingabbiata nelle convenzioni. Edoardo Pesce è perfetto  nei panni di Leo, troppo  breve il ruolo di Giovanna Mezzogiorno capace sempre di lasciare un segno.

Vincenzo Crea e Beatrice Grannò fanno vivere al pubblico  tutte quelle emozioni  di due ragazzi pronti ad una svolta.

Paola Olivieri